Il medico “vecchio” stampo e’ morto

Il medico “vecchio” stampo e’ morto. Oggi e tanto più domani servirà un medico 3.0

La medicina sta cambiando, così come si stanno evolvendo le cure e le terapie che vengono somministrate a coloro che si ammalano di tumore. L’assistenza dei malati oncologici sta avendo una vera rivoluzione e sta dimostrando un peso fondamentale sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita.

Siamo nell’era della medicina 3.0. E se il medico vuole rendere davvero efficace la terapia, deve necessariamente adeguarsi al cambiamento che stiamo vivendo.

In questo articolo vedremo quali sono i pilatri di un rapporto medico-paziente che porti i frutti sperati.

Cominciamo introducendo 4 parole chiave che, a mio avviso, dovrebbero regolare tutte le relazioni fra il medico e il paziente: lealtà, ascolto, fiducia, engagement. Sono questi i presupposti su cui costruire le basi di un’alleanza medico-paziente dagli effetti terapeutici.

Si tratta di principi che possiamo tranquillamente allargare dalla medicina oncologica a quella generale: in un futuro prossimo il medico generale sarà chiamato sempre più spesso a gestire la cronicità delle malattie oncologiche e anche oggi in alcuni casi lo fa.

Il rapporto medico-paziente è centrale per garantire l’efficacia dei percorsi terapeutici.

Da questo punto di vista l’informazione al paziente riveste un ruolo fondamentale per assicurare trasparenza, condivisione e partecipazione attiva di entrambi al percorso terapeutico.

Oggi oltre 3 milioni e quattrocentomila persone, secondo l’AIOM, stanno affrontando in Italia una diagnosi di tumore: ma qual è la loro qualità di vita, come riescono ad elaborare il loro stato? In molti casi quella che predomina è, purtroppo, una cultura “negativa” del tumore, per cui la persona è portata a immaginare questa malattia come la fine della propria vita, invece che come l’inizio di un’esperienza nuova.

La diagnosi di tumore è senza dubbio una “cattiva notizia”. Nessuno potrebbe dire il contrario. Essa porta con sè una miriade di implicazioni negative, che si presentano a chi ne viene colpito e gli stravolgono la vita, obbligandolo a confrontarsi con tutte le paure e le ansie che da sempre angosciano l’umanità e che possiamo riassumere in due parole “sofferenza” e “morte”. In questo contesto appare evidente quanto sia importante il ruolo della comunicazione medico-paziente per creare la giusta empatia con la persona e aiutarlo a vivere meglio questo delicato momento.

Ma non è semplice perchè quasi tutte le persone colpite dal tumore tendono ad ascoltare e a comprendere poco, offuscate dall’assordante rumore della paura.

Il medico 3.0 come deve comportarsi dunque nei confronti del paziente?

Per prima cosa dovrà essere autorevole, ma nel contempo solidale. E’ importante smorzare la paura fino a quando la diagnosi non è certa e, una volta accertata, inizierà il percorso della terapia.

Tuttavia non tutti i medici sanno comunicare una notizia così delicata con la giusta sensibilità, tale da evitare al paziente di sprofondare in un vortice di emozioni.

Per anni lo ha ascoltato alla radio, visto alla televisione, nei film, sentito raccontare da

parenti e amici, lo ha letto mille volte su Facebook, sui giornali, nei romanzi, nei libri di divulgazione scientifica: “Gli è toccata la brutta malattia, il nemico subdolo e spietato, che ti mangia dentro, che non si ferma mai. Ci sarà una guerra, tante battaglie, la lotta, il coraggio e poi una fase più o meno lunga di assistenza, ora generosa, ora rassegnata, ora stanca”. Insomma dolore, sofferenze, immagini di uno stato invalidante e poi lacrime. Tante lacrime.

L’esperienza mi ha insegnato che affrontare un tumore non è un cammino privo di lacrime. Nessuna delle persone che hanno vissuto questa esperienza può dire che avere il cancro non comporti lacrime. Mentirei io stessa se lo dicessi. Sta di fatto che avere un tumore non ci rende invalide nè meno donne delle persone sane. Il ruolo del medico in questo processo di accettazione è fondamentale.

Ma per essere un medico migliore, abbandonando quel pesante fardello culturale che rendeva il medico al di sopra del paziente in virtù della sua autorevolezza e profondamente distante dalla malattia, è necessario che egli percepisca che davanti a sè non ha solo un paziente malato, ma una persona con tutte le sue emozioni, paure e dubbi.

Questa consapevolezza è il segreto per offrire una qualità terapeutica maggiore, instaurando con il paziente un rapporto controllati, ragionato ma soprattutto empatico.

Si tratta di un approccio comunicativo che abbandona termini negativi come “maligno”, che rimandano l’immaginazione a forme e situazioni terrorizzanti e che vedono il malato travestirsi da soldato, in lotta contro un “nemico” immaginario. Per questo un tempo ci si avvaleva di un lessico bellico per parlare della terapia chemioterapica: “lotta”, “guerra”, “battaglia”, “combattimento”. Il risultato di questo approccio ora sorpassato è di spostare il baricentro della contrapposizione malattia-terapia sul paziente, responsabilizzandolo troppo e, in definitiva, lasciandolo ancora solo.

Il medico di oggi ha sulla bocca parole di speranza, di accoglienza, di comprensione e di forza: messaggi positivi che permettano al paziente di non reagire con la paura alla diagnosi, ma che fungano per lui da stimolo a valorizzare le proprie risorse interiori per affrontare la malattia esattamente per quello che è: una parentesi della vita.

Se anche tu svolgi la professione del medico e il tuo lavoro consiste spesso nel comunicare diagnosi difficili e delicate, contattami scrivendo una mail a cancercoachmara@gmail.com per condividere la tua esperienza! Sarò felice di aiutarti ad acquisire le informazioni e gli strumenti giusti per diventare un medico ed un alleato migliore per i tuoi pazienti.

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