Coronavirus: gli eroi sono i medici e gli infermieri

I veri eroi in prima linea contro il coronavirus sono medici, infermieri ed operatori sanitari. Chi fa questo lavoro va ringraziato ogni giorno per ciò che fa. Sono loro che ogni giorno mettono a rischio la propria vita e la propria salute per salvare la nostra e curare le persone che sono state già colpite dal Covid-19.

Ma la situazione negli ospedali sta diventando pesante per il carico di lavoro che ogni giorno questi guerrieri in corsia sono costretti a sostenere: la loro capacità di affrontare i casi in continuo aumento passa prima di tutto dalla forza con cui reggeranno i ritmi instancabili imposti da un’emergenza di cui, oltretutto, nessuno è in grado di pronosticare la durata.

Non solo il lavoro è continuo e i ritmi accelerati ma è continua la tensione e quindi la paura di sbagliare e mettere a rischio la vita già precaria delle persone, la paura di essere contagiati, la paura di non farcela ad andare avanti in queste condizioni.

I medici e gli infermieri più soggetti al crollo quelli che operano nelle trincee dei reparti di rianimazione e di pronto soccorso. Ma anche gli altri reparti non sono immuni dal rischio di crolli psicofisici.

Il rischio di un collasso emotivo per queste figure è altissimo.

E allora come fare?

Qual è il vero pericolo cui i nostri medici stanno andando incontro?

In un precedente articolo, vi ho parlato di quanto sia importante intervenire prima che il bisogno di chiedere aiuto si levi forte e chiaro e diventi un SOS disperato.

Più di tutto, infatti, gli operatori devono misurarsi con un forte senso di solitudine.

Una solitudine a tutti i livelli: nei reparti, dove non c’è tempo per confrontarsi con colleghi sempre e comunque presi; a casa, dove bisogna cercare di non allarmare la famiglia; con gli amici, concentrati sui loro problemi.

Fuori da questi perimetri è ancora peggio se è vero che, come hanno dichiarato in questi giorni alcuni medici, alcuni operatori evitano di raccontare il lavoro che fanno per timore di essere isolati. La cosa peggiore di questo virus è proprio il senso di isolamento che presuppone, fisico e psicologico. Come fisico e psicologico è il disagio di chi rincorre le emergenze.

A questo si aggiunge il senso di inadeguatezza, che si sentono incapaci di far fronte all’emergenza del paese. L’inadeguatezza non deve essere avvertita dai medici, casomai in questo momento è un problema della scienza. Il messaggio che deve arrivare è che il medico non è Dio: è il sistema ad essere inadeguato e il coronavirus è un nuovo nemico e serve tempo per conoscerlo al meglio. Il medico non deve confondere la situazione generale con un problema suo. Non bisogna responsabilizzarsi troppo.

Oggi i medici e gli infermieri hanno addosso una pressione altissima. Per descrivere il livello di stress cui medici e infermieri sono sottoposti in queste ore si parla di sindrome di “burn out”: in poche parole se il livello di stress è troppo alto, crea dei danni e, se vado in burn out, non riesco più a lavorare. Il burn out è un rischio gravissimo per la persona, ma anche per il sistema sanitario stesso, perché se un medico va in burn out non riesce più a mantenere alti livelli di efficienza e, cosa ancora più pericolosa, da medico passa a essere un paziente.

Per questo è fondamentale che il personale comprenda come gestire le emozioni e lo stress, ad esempio ritagliandosi momenti in cui staccare per ritrovare il proprio “centro” ed equilibrio ed abbassare il livello di tensione. Il coaching, ora più che mai, diventa essenziale.

Ricorrendo a esercizi respiratori e focalizzando l’attenzione su altro nei rari momenti liberi, le persone sfruttano le tecniche di stabilizzazione, appunto, per riprendere il controllo di sé stessi e tornare ad essere pienamente efficaci sotto tutti i punti di vista: personale e professionale.

Queste tecniche, una volta applicate e acquisite in toto, diventano risorse fondamentali alle quali ciascuno di loro potrà attingere quotidianamente, anche dopo che questa emergenza sarà rientrata e tutti potremo tornare alla nostra vita di sempre.

Il coaching, in questo caso, serve ad evitare che lo stress accumulato finisca per deteriorare e consumare i livelli indispensabili di energia.

Non dimentichiamoci mai che mentre i posti letto possono essere aumentati, così come i dispositivi di protezione, anche se con fatica, le energie delle persone non sono infinite e quando si estinguono è difficile poterle ripristinare. Non smetterò mai di ripeterlo.

Se sei un medico, un infermiere, un operatore sanitario e ti trovi in questo momento a vivere in prima linea l’emergenza Coronavirus, ma nel tuo ospedale non c’è la possibilità di ricorrere ad uno sportello di supporto psicologico, sarò felice di fornirti gli strumenti e le risorse giuste con cui gestire il peso enorme delle emozioni che grava sulle tue spalle, per ricentrarti ed essere ancora più presente nel tuo lavoro e nella tua vita privata.

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